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Il tiglio, l’albero dal cuore grande

Stando ambo innanzi à le gran porte à piede/De i gradi, ove stà un pian fra ‘l tempio, e l’onde,/La donna far del suo marito vede/I canuti capei silvestra fronde,/E mentre il guarda, e la cagion ne chiede,/L’arbor ved’ei, che la sua donna asconde./E più, ch’un mira, e attende il fin, che n’esce,/Più vede che la selva abonda, e cresce (Ovidio, Metamorfosi, Filemone e Bauci)

 

Il tiglio: albero dal cuore grande

Il tiglio, tilia vulgaris, deve il suo nome al greco Ptilon, penna leggera, per via delle brattee laterali dei peduncoli dei fiori che sembrano volare via come farfalle. Quando è libero di crescere ed espandersi, questo albero genera foglie che ricordano un cuore, forse per questo motivo, da sempre, sotto un albero di tiglio ci si sente accolti, percependo un dolce stato di benessere che coinvolge anche il nostro cuore.

I suoi fiori bianchi o quasi gialli sono comunemente usati per preparare infusi calmanti. Il gemmoderivato, invece, può migliorare il tono dell’umore e svolgere attività ansiolitica e blandamente antidepressiva.

Favorisce, inoltre, l’addormentamento e contribuisce ad aumentare la durata del sonno, ma non essendo un sonnifero, che può determinare assuefazione, può essere tranquillamente impiegato sia nel bambino che nell’anziano. Insieme al ficus carica può essere impiegato efficacemente in tutte le somatizzazioni da stress a carico dell’apparato gastrointestinale.

L’albero di tiglio può vivere fino a 1000 anni e anticamente molti popoli europei lo consideravano sacro. Le città tedesche piantavano i tigli nei luoghi destinati agli incontri commerciali, poiché si sapeva che la presenza del tiglio donava calma e benessere alle persone e favoriva la comprensione nelle relazioni. Una delle più note permanenze di quest’abitudine è la strada Unter den Linten a Berlino, in cui i tigli sono piantati lì fin dal XVI secolo.

Per celti e germani il tiglio era importante anche perché lo strato interno della sua corteccia (libro) forniva le fibre con cui si tessevano gli abiti; è curioso notare che il padre della classificazione scientifica degli organismi viventi, Carl von Linné, porta come cognome il nome locale del tiglio (Lind), scelto da suo padre Nils per ricordare il tiglio secolare che viveva nell’aia dei nonni.

Cantato da poeti di ogni tempo per la sua grazia e la pace che sa infondere nel cuore umano, è al centro di un bellissimo mito greco, quello di Filemone e Bauci, narratoci da Ovidio nella sua celebre opera Metamorfosi.

Una coppia di anziani coniugi Frigi, giunti alla vecchiaia, attendevano sulla soglia di casa il tramonto del sole che ben presto si sarebbe anche trasformato nel tramonto della loro vita. Vivevano in una povertà serena e rassegnata, godendo della compagnia di una grossa oca che avevano allevato, la loro unica ricchezza.

Accade che Zeus desideroso di esperienze terrene e in compagnia di suo figlio Ermes, si recò in visita sulla terra. Travestiti da comuni mortali, giunsero in una città della Frigia. A causa dell’aspetto miserrimo in cui si presentarono, al momento di chiedere ospitalità ai ricchi cittadini trovarono sempre gli usci chiusi, così come chiuso alla pietà era il cuore di questa gente.

Dopo aver bussato invano a tutte le porte della città, videro in lontananza una miserevole casupola fatta di canne e con il tetto ricoperto di paglia. Sconsolati fecero un ultimo tentativo e finalmente trovarono l’uscio aperto e il cuore spalancato alla carità.

Non hanno nulla, nessuna ricchezza tranne l’oca, che essi accudiscono come se fosse una loro figliola, ma a ben guardare sono ricchissimi, di una ricchezza fatta non di palazzi o tesori, ma l’autentica ricchezza che deriva dalla comunione dei loro cuori e dei loro intenti, sono ricchi dentro, è l’amore che li sostiene, li conforta, facendo di loro un corpo e un’anima sola.

In quella povera casa, gli Dei hanno trovato finalmente un rifugio. Cortese il vecchio Filemone li accoglie, per farli riposare dalle fatiche del viaggio, sollecito porta due sgangheratissimi sgabelli, traballanti e semidivorati dai tarli che la buona Bauci ricopre premurosamente con due vecchie e logore pelli.

Accende il fuoco, soffiando con il poco fiato che ha per ravvivare le ceneri e presto si sprigionano le fiamme che vanno a scaldare il paiolo di rame appeso alla catena del focolare, che ben presto sarà riempito del cavolo che Filemone è andato a raccogliere nell’orticello insieme al tenero radicchio che servirà per l’insalata.

Appesa ad una catena del soffitto pende una spalla di maiale affumicata, Filemone ne stacca un pezzo, lo ripulisce  bene prima di offrirlo agli ospiti insieme con il formaggio alle olive secche e a tutto quello che la povera dispensa può offrire.

Bauci dopo aver scaldato l’acqua, la porta agli ospiti, per permettere loro di lavarsi e rimuovere dal corpo e dai piedi la polvere del viaggio. Allestisce appositamente per gli ospiti un giaciglio affinché possano mangiare comodamente sdraiati, sarà anche un misero giaciglio, ma le lenzuola di rozza tela sono fresche di bucato.

Viene servita la rustica cena, innaffiata da una piccola quantità di vino che i due vecchi avevano offerto ai due dei. Ma prodigio dei prodigi, nonostante i bicchieri vengano svuotati più e più volte, il livello di liquido nella brocca non scende mai.

Rendendosi conto di trovarsi di fronte a Dei, provano vergogna della misera tavola preparata per gli ospiti e allora decidono di sacrificare quanto avevano di più prezioso: l’oca. Con un coltello Filemone si avvicina all’oca, ma questa svolazza, poco propensa a trasformarsi nella cena della serata, mentre il povero Filemone, rallentato dal peso degli anni, ansimante rincorre l’oca che trova rifugio nel grembo di Zeus.

Zeus, commosso dal gesto del vecchio Filemone, gli dice di fermarsi, il sacrificio dell’oca non sarà necessario. Riacquistato insieme al figlio, lo splendore della divinità, chiede ai due coniugi di recarsi in cima al monte. La città sarà presto sommersa dalle acque, è la punizione divina riservata agli empi abitanti della città. I due vecchietti appoggiandosi al bastone e sostenendosi l’uno con l’altra obbediscono, a fatica raggiungono la cima del monte mentre lentamente la città scompare inghiottita dalle acque. Della ricca e inospitale cittadina, resta solo la loro misera capanna.

Nella città sommersa, è emerso un piccolo isolotto con al centro la loro casa che si sta trasformando in tempio: dove c’erano le canne ora si innalzano alte colonne marmoree, il tetto di paglia è rilucente come l’oro.  Zeus, prima di tornare all’Olimpo, desidera esprimere la sua gratitudine ai due vecchietti, vuole ringraziarli esaudendo un desiderio. I due vecchi ringraziano ed esprimono ben due desideri, il primo è quello di poter dedicare quanto resta della loro vita al culto della divinità come sacerdoti e custodi del tempio.

L’altro desiderio è quello di poter chiudere gli occhi nello stesso momento, in modo da non vedere la morte del compagno e della compagna di tutta una vita. I desideri furono entrambi esauditi, i due vissero insieme ancora a lungo, rendendo grazie agli Dei, finché giunse il momento del distacco terreno.

Sul finire del giorno, mentre erano sulla porta del tempio Bauci vide i bianchi capelli di Filemone trasformarsi in fronde e Filemone vide Bauci mettere radici. Filemonesi trasformò in una quercia e la moglie in un tiglio, uniti per il tronco.  E questo abbraccio vegetale, che si ergeva di fronte al tempio, fu venerato per secoli.

A cura di Luisella Santangelo

 

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    (2) Comments

    • Mariella 21 Aprile 2023 @ 9:59

      BELLISSIMO QUESTO ARTICOLO…LI LEGGO TUTTI CON AMORE E PASSIONE…

      • Scuole Aron 10 Maggio 2023 @ 13:32

        Ciao Mariella, siamo molto felici che questi articoli ti piacciano e siano per te interessanti. A noi fa molto piacere anche perché sono redatti dagli studenti della nostra Scuola che, anche così, approfondiscono e interiorizzano i contenuti che, man mano, acquisiscono

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