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Miti e proprietà del salice piangente

Piange il grande salice sulla riva scura del fiume lacrime di smeraldo in una sera solitaria
(Baishu)

 

C’era una volta un salice. Era l’albero più alto e bello di tutti, con la sua chioma folta ed i suoi rami tesi verso il cielo. Tuttavia, proprio a causa della sua bellezza, scatenò l’ira della Dea Demetra, che avrebbe voluto che gli alberi più belli fossero quelli piantati da lei sulla sua stessa terra.
La dea strinse allora un patto con dei bambini, promettendo loro ricchi doni se avessero deturpato il tronco e la chioma del salice. I bambini iniziarono così ad intagliare la sua corteccia e a gettare rifiuti sulle sue fronde.
Il salice, per difendersi da quelle angherie, mutò la propria forma: cominciò ad incurvarsi verso il basso, le foglie bellissime che prima sfioravano il cielo ora quasi toccavano il terreno e parevano inginocchiarsi di fronte alla dea della terra. Le sue fronde ora apparivano tristi e tutti iniziarono a pensare che quell’albero fosse malato o addirittura maledetto. Alla prima pioggia le gocce scendevano lungo i suoi rami e cadevano a terra come fossero lacrime. Da quel momento in poi il salice, rimasto solo, venne chiamato da tutti “Salice piangente”.
Molto tempo dopo, in una mattina di inverno, un pettirosso con un gran mal di testa si poggiò sulle sue foglie attratto da quella strana forma e, bevendo con il becco una gocciolina di rugiada impregnata della sua linfa, si accorse all’improvviso che il suo dolore alla testa era passato.
Volò verso il paese e con un passaparola raccontò a tutti quanto era accaduto.
Degli speziali vollero verificare se quanto raccontato dall’uccellino fosse vero e scoprirono che le foglie del salice piangente contenevano una potente cura contro il mal di testa: il salice non era maledetto, era semplicemente miracoloso!
Dal giorno di quella scoperta tutti celebrarono l’albero e, ancora oggi, tanti decidono di piantare il salice nel proprio giardino. Esso decise, però, di mantenere il nome di “Salice piangente”, perché la sua fortuna era partita proprio da quel nome.

 

Questa storiella ci introduce nel mondo del Salice, un albero deciduo dai rami penduli e sottili, caratteristica che lo rende una specie molto coltivata per scopi ornamentali.

Il termine Salice ha origini celtiche e il suo significato è “vicino l’acqua”.  Per molti popoli antichi infatti i fiumi presso cui i salici crescevano non erano altro che le lacrime emesse da questi alberi dalle lunghe e argentate foglie.

Per i Celti in particolare e per altri popoli in generale, il Salice era considerato una divinità femminile e il suo culto, legato ai cicli lunari e alla fecondità, ricoprì sempre una grande importanza nel corso dei secoli.

Nella Grecia antica era considerato, per eccellenza, l’albero in connessione con l’aldilà, per via della facilità con cui i rami, una volta spezzati, si rigenerano e ricrescono.

Si racconta che Ulisse, per trovare la porta degli Inferi, venne mandato da Circe nel boschetto di pioppi e salici di Persefone e che Orfeo tentò di condurre Euridice dal regno dei morti alla vita tenendo in mano un ramo di salice.

Per il Cristianesimo, invece, i Salici piangenti avevano il significato di castità e purezza e simboleggiavano, dato il portamento, il giusto atteggiamento, prostrato e riverente, del fedele davanti a Dio. Si narra che quando Gesù per l’ennesima volta cadde durante il percorso verso il Golgota, si aggrappò ai rami di un Salice per potersi rialzare. Da allora questo albero divenne simbolo di dolore e lacrime.

Una leggenda narra che persino l’arte del Ju Jutsu sia stata ispirata alla forza e al temperamento dei salici piangenti.

Il Ju Jutsu è un’arte di lotta basata sulla difesa, in cui la vittoria si acquista gettando l’avversario al suolo o mettendolo in situazioni di mancata mobilità. Cosa c’entrano quindi i salici piangenti con le arti marziali? Si racconta che un maestro di varie scuole di arti marziali, un giorno, durante una tormenta di neve, fu rapito dall’eleganza e dalla forza di questi alberi, notò come tutti i rami, nonostante fossero coperti di neve per la tormenta, non si lasciassero sopraffare dal peso, essendo estremamente flessibili. Basandosi su questa osservazione, il maestro sviluppò la filosofia che è alla base della tecnica del Ju Jutsu, arte che voleva fosse praticata per elevare e far progredire il Paese.

 

Proprietà terapeutiche

Al di là di leggende e credenze antiche, il salice vanta numerose proprietà terapeutiche.

Ad esempio, in Egitto, in un’epoca in cui antibiotici e vaccini erano ancora lontanissimi e una febbre troppo alta poteva portare alla morte, qualcuno si accorse che riducendo in poltiglia le foglie del Salix Alba, comunemente noto come Salice Bianco o Salice Piangente, era possibile abbassare la febbre e curare i gonfiori.

Più tardi anche il medico greco Ippocrate si accorse che le foglie del Salice avevano proprietà analgesiche e antipiretiche e le raccomandò alle donne per alleviare i dolori del parto.

Il Salix alba contiene una molecola importantissima, fra le più famose nella storia dell’uomo: la Salicina.  Essa è stata isolata nel 1853 dalla sua corteccia ed è il precursore dell’acido acetilsalicidico, noto nell’aspirina.

La salicina, infatti, quando arriva nello stomaco, un ambiente acido, diventa acido salicidico e andando nel fegato acido acetilsalicidico. Questo esplica un’azione antinfiammatoria, antipiretica, analgesica, antiaggregante pastrinica, quindi possiamo utilizzare il Salix alba come pianta di elezione in caso di febbre, in tintura madre o estratto secco, ma anche per dolori reumatici, articolari, muscolari, artrosi delle dita.

Il macerato in particolare svolge un’azione antinfiammatoria sui legamenti e sulle piccole articolazioni, rallentando il processo degenerativo.

A cura di Luisella Santangelo

 

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